LO SMALTO DEI COLORI:
LA MAPPA CROMATICA DI PAOLO DE POLI di Manlio Brusatin

Provare a sottrarre la definizione delle arti alle categorie dello spazio e del tempo e affrontarle nei loro principi di materialità come i quattro elementi: terra, acqua, fuoco e aria. Si pensa sempre a una loro definizione e percezione visiva e quindi si parla di arti simultanee e di arti consecutive. Quelle visive corrispondono a un principio di percezione simultanea anche se poi la loro eco si deposita in un tempo illimitato, altre appartengono all'ascolto, a una fruizione consecutiva che si sviluppa nella scansione del tempo e del ritmo, frammentandosi nello spazio che non le custodisce. Ma si dovrebbe legarle più facilmente al ritmo della loro creatività, del loro lavoro interno ed esterno che rende gli oggetti corpi e creature per suggerire sentimenti, significati e storie in chi li osserva. Perciò l'architettura potrebbe essere un'arte della terra e dell'aria, la pittura un'arte d'impasto della terra per produrre riflessi d'acqua e di linfa, la musica un'arte dell'aria ma anche dell'acqua in un gioco di scambi e di appartenenze piene di esaltanti esplorazioni.
Già Paul Valéry aveva esaltato il riflesso di un desiderio costante nella produzione di quelle arti terribilmente incerte verso la materia alla quale si affidano: «fra tutte le arti non ne conosco di più avventurose, di più incerte, e dunque di più nobili, delle arti che richiedono l'uso del fuoco». II fuoco con il quale non vale nessuna libertà è una fiamma giallo-azzurra così vasta di possibilità che può scoprire tutte le incertezze disperdendo le energie in una piccola catastrofe tecnica. Nella terracotta si chiede al fuoco un principio di maturazione di fronte alla fragile elaborazione del manufatto ancora madido di terra e di acqua. Nell'arte del ferro si chiede al fuoco la testimonianza transitoria dell'ammorbidimento di una materia che si lascia forgiare nei brevi attimi in cui essa stessa si fa fuoco per trasformarsi in forma nuova e durevole. Ma il fuoco alla fine dell'opera va lontano dall'oggetto, una volta toccato lo abbandona lasciandolo con pari rischio, eccelso o inerte per non tornare più. La terracotta e il ferro battuto restano formati nel bene e nel male dopo il terribile passaggio del fuoco e non possono tornare a essere diversi se non rifusi totalmente in un altro piccolo caos nel quale possono perdersi o riuscire del tutto diversi ma forse non più individuati in un oggetto, adatto a pro-durre sensazioni e immagini estetiche.
Tra le arti del fuoco c'è l'arte dello smalto, questa è l'unica dove il fuoco sembra fermarsi dentro l'oggetto per dargli un animato colore lucente, quasi eterno. Penso che queste siano le virtù più esaltanti di quegli smalti liberi che fasciano l'oggetto combinandosi con esso, uscendo dal limite metallurgico del cloisoné per prodursi in una selva totale di colori, tutti quanti figli del fuoco. Questi gli oggetti invasi di luci folgoranti e notturne di De Poli, l'ultimo sacerdote di questa terza arte del fuoco che conserva il sigillo della materia e mantiene il vibrare della fiamma che ha consacrato le conquiste fondamentali dell'uomo.
Tutto si fa in quella superficie vitrea che si è adagiata sopra il metallo lasciandogli impressa la qualità lucente e viva della buccia di un frutto e dello squame bluargenteo di un banco di pesci nel loro passaggio tra i fondali o l'innesto di penne intarsiate nel collo di un pavone e del suo movimento, e forse più ancora nella corteccia di quel grande frutto che è un pianeta con la sua scorza vetrosa e animata, leggera e profonda, liquida e secca.
Ecco, la stesura e il colore degli smalti ripercorre ogni effetto estetico della biologia e della vita con opacità e lucentezze: il verde inafferrabile di un ramarro, il rosso sfuggente della coda di volpe, la viscosa profondità di uno stagno oppure lo specchio d'acqua carico di ghiaccio e di cristalli di neve: quella colorazione in rapidissimi e lenti movimenti, animati dall'acqua e dal fuoco delle ere e dai baleni di uno scatto e di un tuffo nella foresta madre di verdi e di bruni. Lo slancio e il guizzo animato dei colori, semplici mescolanze di frammenti e di terre polvirulente diventano dunque pelle e corpo di un'arte della trasformazione attraverso il passaggio dello smalto del fuoco.

Si può quindi transitare all'interno della mappa cromatica di De Poli in un viaggio tra storia biologica e storia delle arti come la stratificazione fossile delle pietre bianco-rosate dell'altopiano di Asiago e di Prun. Perciò tracciamo un sentiero dentro all'archivio cromatico offertoci, più che un romanzo tra azioni e passioni. Il grigio turchese trasparente appare come i quadri slontanati e materici di De Pisis e i suoi pesci abbandonati delle lagune; il grigio opale si stampa nelle stoffe di Fortuny, nelle sericità apparenti dei tessuti che evocano lucentezze e calandrature di azzurrite e di placche d'argento. li grigio azzurro madreperla risuona come i dischi e le scaglie combinate del mobilio Secessione insieme all'origine del frutto giallo madreperla secco e umido della conchiglia turbinata e frammentata. Il bianco grigio con giallo è un quadro di Corot, come un albero impresso e tormentato da un vento dominante, quasi un destino. Il sottobosco verde bruno giallo risveglia gli antri orientali dove si alzano le divinità danzanti di Gustave Moreau: il giallo oro brillante e il giallo bruno risplendono come i diademi di quelle apparizioni simboliste e i gialli dorati e sfumati sono appunto quei fuochi lanciati e trattenuti dalle eroine di Khnopff.
Il nero trasparente di un Greco dichiara un mito originario di formazione da cui tutto può finire e ricominciare, così il grigio rosato trasparente che mette insieme il color d'aria e le nuvole di ulteriori tramonti nei quadri dei vedutisti veneti.
L'occhio di tigre giallo bruno dai riflessi bluastri incontra tra favola e storia il colore del cappello stellato del mago di Oz: il giallo limone unito e il giallo trasparente è il colore che sta oltre lo specchio di Alice nel Paese delle Meraviglie verso cui si spinge il desiderio di chi voglia andare «in qualsiasi parte»: il giallo oro macchiato è quasi il testo smozzicato del racconto di un ritorno avventuroso dell'Eldorado.
Il blu oro e il verde oro bruno è il regno degli schermi e delle quinte di Klimt e il tessuto marmoreo dove sono ritratte e assopite le sue immagini-donna. Il rosso sangue di bue è proprio l'anima di un trapassato che nel rito cinese prende la forma e il corpo di quel vaso. Il rosso «gules» e quello bruciato rimbalzano e rovesciano l'oriente in un medioevo fitto di insegne e grave di scontri con scudi e ferite che si stampano e si disegnano a partiture negli «smalti» araldici. Le stoffe purpuree e «pavonazze» del rosso di grana cinquecentesco evocano i rossi giacinto e rubino delle ultime porpore fenice. Queste sottili lamelle purpuree assomigliano propriamente alle carni ciprigne e madreperlacee delle dee dei poemi omerici, immerse nel fondo di mito ed epos che nella civiltà mediterranea penso abbiano senz'altro quel colore rubino-rosato che fa vibrare l'intenso flusso di navi e di religioni, prossime e lontane.
L'opale celeste sprizza l'immagine originaria delle divinità fredde ed olimpiche ma rabbonite dei Giovi di Ingres che fuggono già verso gli alberi e gli stagni del Cavaliere Azzurro di Kandinskij, riflesso nel color «acqua di ruscello» di De Poli.
Ancora le vene del turchese trasparente si aprono come la montagna incantata d'azzurro nel Milione di Marco Polo e insieme nella cruda disseminazione di coca e smeraldi della Columbia postindustriale. Su sponde ancora opposte, il lilla blu macchiato giallo è una geminazione surreale di un mantello del Calendario delle Ore dei fratelli di Limbourg con l'esplosione distruttiva e luminescente di un programma di video-games: tanto temi moderni e futuri esplodono dalle connessioni e lacerazioni delle vetrosità degli smalti di cui stiamo percorrendo i continenti come la mappa di un libro di avventure.

Il rosa lilla risuona come l'attesa di un'aurora. Assorbe il taedium di un appuntamento mancato in un viale di bougainville verso il sussurro di rubino scuro viola: colore che fonde in nuvole il rosso e l'indaco dei corpuscoli d'ombra che segnalano il freddo della sera.
Dense tonalità di tempo e di spazio si alternano e si scontrano nel blu a macchie rosse intense in un messaggio nello spazio siderale di una navicella perduta, come l'anima di cosmonauti senza più voce, mentre invece l'azzurro verde chiaro e l'azzurro blu scuro sembrano i toni di uno scontro di civiltà attico-persiane le une rivolte contro le altre in un movimento guerresco di Anabasi e Catabasi. Il blu profondo opale e il blu ora quasi rosato torna a essere lo smalto di una delle sette meraviglie: la statua crisoelefantina del Giove di Olimpia e del suo trono corrusco e fumigante di offerte; giù giù fino all'azzurro profondo di quelle intensità classico-romantiche di un mare profondo che rispecchi il cielo, tra il glauco e il ceruleo delle isole di trapassati di Boecklin, come Odisseo.
Il verde smeraldo scuro evoca la materia di cui son fatte le erbe che si tuffano nell'acqua e la colorano dal profondo, e il verde cromo scuro fa scorrere in quelle acque segrete, nate dal ventre della terra, la morbida attesa della Tempesta di Giorgione, per allargarsi a vegetare pianure e pianure. I verdi brillanti e trasparenti e quelli macchiati si riverberano per le fitte martellinature nel corpo del supporto di rame e restano per il tessuto epidermico di un camaleonte o di un alligatore, in una definitiva pietrificazione e imbalsamazione come porte bronzee.
Il blu azzurro verde sembra sintetizzare in breve spazio la storia dell'arte dello smalto con il suo tenore «dipinto» rispetto alla miriade di piccoli colpi di martello fitti e regolari che richiamano l'antica matrice del champlevé. Si sfonda verso la materia dipinta della pittura nel destino finale della craquelure: fine del quadro e principio dello smalto. Si riforma un fitto reticolo di spontanei cloisonnés nella buccia di un pianeta blu lunare con argento, per riflettere nel freddo lacrime e desideri di quell'altro pianeta verde azzurro chiamato terra, dove noi stiamo, ma dal quale possiamo allontanarci per attimi intensi soltanto con queste arti, verso il territorio aereo dei colori di smalto, pieni di fuoco.

Paul Valéry, Dell'eminente dignità delle arti del fuoco (1930), trad. it. Scritti sull'arte, Milano 1984, pp. 70-72.
Cfr. Alcuni colori degli smalti di De Poli, Padova 1965

 in L'Arte dello Smalto: Paolo De Poli, 1984