Provare a sottrarre la definizione delle arti alle
categorie
dello spazio e del tempo e affrontarle nei loro principi di
materialità come i
quattro elementi: terra, acqua, fuoco e aria. Si pensa sempre a una
loro
definizione e percezione visiva e quindi si parla di arti simultanee e
di arti
consecutive. Quelle visive corrispondono a un principio di percezione
simultanea anche se poi la loro eco si deposita in un tempo illimitato,
altre
appartengono all'ascolto, a una fruizione consecutiva che si sviluppa
nella
scansione del tempo e del ritmo, frammentandosi nello spazio che non le
custodisce. Ma si dovrebbe legarle più facilmente al ritmo della
loro
creatività, del loro lavoro interno ed esterno che rende gli
oggetti corpi e
creature per suggerire sentimenti, significati e storie in chi li
osserva.
Perciò l'architettura potrebbe essere un'arte della terra e
dell'aria, la
pittura un'arte d'impasto della terra per produrre riflessi d'acqua e
di linfa,
la musica un'arte dell'aria ma anche dell'acqua in un gioco di scambi e
di
appartenenze piene di esaltanti esplorazioni.
Già Paul Valéry aveva esaltato il riflesso di un
desiderio
costante nella produzione di quelle arti terribilmente incerte verso la
materia
alla quale si affidano: «fra tutte le arti non ne conosco di
più avventurose,
di più incerte, e dunque di più nobili, delle arti che
richiedono l'uso del
fuoco». II fuoco con il quale non vale nessuna libertà
è una fiamma giallo-azzurra
così vasta di possibilità che può scoprire tutte
le incertezze disperdendo le
energie in una piccola catastrofe tecnica. Nella terracotta si chiede
al fuoco
un principio di maturazione di fronte alla fragile elaborazione del
manufatto
ancora madido di terra e di acqua. Nell'arte del ferro si chiede al
fuoco la
testimonianza transitoria dell'ammorbidimento di una materia che si
lascia
forgiare nei brevi attimi in cui essa stessa si fa fuoco per
trasformarsi in
forma nuova e durevole. Ma il fuoco alla fine dell'opera va lontano
dall'oggetto, una volta toccato lo abbandona lasciandolo con pari
rischio,
eccelso o inerte per non tornare più. La terracotta e il ferro
battuto restano
formati nel bene e nel male dopo il terribile passaggio del fuoco e non
possono
tornare a essere diversi se non rifusi totalmente in un altro piccolo
caos nel
quale possono perdersi o riuscire del tutto diversi ma forse non
più
individuati in un oggetto, adatto a pro-durre sensazioni e immagini
estetiche.
Tra le arti del fuoco c'è l'arte dello smalto, questa è
l'unica dove il fuoco sembra fermarsi dentro l'oggetto per dargli un
animato
colore lucente, quasi eterno. Penso che queste siano le virtù
più esaltanti di
quegli smalti liberi che fasciano l'oggetto combinandosi con esso,
uscendo dal
limite metallurgico del cloisoné per prodursi in una selva
totale di colori,
tutti quanti figli del fuoco. Questi gli oggetti invasi di luci
folgoranti e
notturne di De Poli, l'ultimo sacerdote di questa terza arte del fuoco
che
conserva il sigillo della materia e mantiene il vibrare della fiamma
che ha
consacrato le conquiste fondamentali dell'uomo.
Tutto si fa in quella superficie vitrea che si è adagiata
sopra il metallo lasciandogli impressa la qualità lucente e viva
della buccia di
un frutto e dello squame bluargenteo di un banco di pesci nel loro
passaggio
tra i fondali o l'innesto di penne intarsiate nel collo di un pavone e
del suo
movimento, e forse più ancora nella corteccia di quel grande
frutto che è un
pianeta con la sua scorza vetrosa e animata, leggera e profonda,
liquida e
secca.
Ecco, la stesura e il colore degli smalti ripercorre ogni
effetto estetico della biologia e della vita con opacità e
lucentezze: il verde
inafferrabile di un ramarro, il rosso sfuggente della coda di volpe, la
viscosa
profondità di uno stagno oppure lo specchio d'acqua carico di
ghiaccio e di
cristalli di neve: quella colorazione in rapidissimi e lenti movimenti,
animati
dall'acqua e dal fuoco delle ere e dai baleni di uno scatto e di un
tuffo nella
foresta madre di verdi e di bruni. Lo slancio e il guizzo animato dei
colori,
semplici mescolanze di frammenti e di terre polvirulente diventano
dunque pelle
e corpo di un'arte della trasformazione attraverso il passaggio dello
smalto
del fuoco.
Si può quindi transitare all'interno della
mappa cromatica
di De Poli in un viaggio tra storia biologica e storia delle arti come
la
stratificazione fossile delle pietre bianco-rosate dell'altopiano di
Asiago e
di Prun. Perciò tracciamo un sentiero dentro all'archivio
cromatico offertoci,
più che un romanzo tra azioni e passioni. Il grigio turchese
trasparente appare
come i quadri slontanati e materici di De Pisis e i suoi pesci
abbandonati
delle lagune; il grigio opale si stampa nelle stoffe di Fortuny, nelle
sericità
apparenti dei tessuti che evocano lucentezze e calandrature di
azzurrite e di
placche d'argento. li grigio azzurro madreperla risuona come i dischi e
le
scaglie combinate del mobilio Secessione insieme all'origine del frutto
giallo
madreperla secco e umido della conchiglia turbinata e frammentata. Il
bianco
grigio con giallo è un quadro di Corot, come un albero impresso
e tormentato da
un vento dominante, quasi un destino. Il sottobosco verde bruno giallo
risveglia gli antri orientali dove si alzano le divinità
danzanti di Gustave
Moreau: il giallo oro brillante e il giallo bruno risplendono come i
diademi di
quelle apparizioni simboliste e i gialli dorati e sfumati sono appunto
quei
fuochi lanciati e trattenuti dalle eroine di Khnopff.
Il nero trasparente di un Greco dichiara un mito originario
di formazione da cui tutto può finire e ricominciare,
così il grigio rosato
trasparente che mette insieme il color d'aria e le nuvole di ulteriori
tramonti
nei quadri dei vedutisti veneti.
L'occhio di tigre giallo bruno dai riflessi bluastri
incontra tra favola e storia il colore del cappello stellato del mago
di Oz: il
giallo limone unito e il giallo trasparente è il colore che sta
oltre lo
specchio di Alice nel Paese delle Meraviglie verso cui si spinge il
desiderio
di chi voglia andare «in qualsiasi parte»: il giallo oro
macchiato è quasi il
testo smozzicato del racconto di un ritorno avventuroso dell'Eldorado.
Il blu oro e il verde oro bruno è il regno degli schermi e
delle quinte di Klimt e il tessuto marmoreo dove sono ritratte e
assopite le
sue immagini-donna. Il rosso sangue di bue è proprio l'anima di
un trapassato
che nel rito cinese prende la forma e il corpo di quel vaso. Il rosso
«gules» e
quello bruciato rimbalzano e rovesciano l'oriente in un medioevo fitto
di insegne
e grave di scontri con scudi e ferite che si stampano e si disegnano a
partiture negli «smalti» araldici. Le stoffe purpuree e
«pavonazze» del rosso
di grana cinquecentesco evocano i rossi giacinto e rubino delle ultime
porpore
fenice. Queste sottili lamelle purpuree assomigliano propriamente alle
carni
ciprigne e madreperlacee delle dee dei poemi omerici, immerse nel fondo
di mito
ed epos che nella civiltà mediterranea penso abbiano senz'altro
quel colore
rubino-rosato che fa vibrare l'intenso flusso di navi e di religioni,
prossime
e lontane.
L'opale celeste sprizza l'immagine originaria delle divinità
fredde ed olimpiche ma rabbonite dei Giovi di Ingres che fuggono
già verso gli
alberi e gli stagni del Cavaliere Azzurro di Kandinskij, riflesso nel
color
«acqua di ruscello» di De Poli.
Ancora le vene del turchese trasparente si aprono come la
montagna incantata d'azzurro nel Milione di Marco Polo e insieme nella
cruda
disseminazione di coca e smeraldi della Columbia postindustriale. Su
sponde
ancora opposte, il lilla blu macchiato giallo è una geminazione
surreale di un
mantello del Calendario delle Ore dei fratelli di Limbourg con
l'esplosione
distruttiva e luminescente di un programma di video-games: tanto temi
moderni e
futuri esplodono dalle connessioni e lacerazioni delle vetrosità
degli smalti
di cui stiamo percorrendo i continenti come la mappa di un libro di
avventure.
Il rosa lilla risuona come l'attesa di un'aurora.
Assorbe il
taedium di un appuntamento mancato in un viale di bougainville verso il
sussurro di rubino scuro viola: colore che fonde in nuvole il rosso e
l'indaco
dei corpuscoli d'ombra che segnalano il freddo della sera.
Dense tonalità di tempo e di spazio si alternano e si
scontrano nel blu a macchie rosse intense in un messaggio nello spazio
siderale
di una navicella perduta, come l'anima di cosmonauti senza più
voce, mentre
invece l'azzurro verde chiaro e l'azzurro blu scuro sembrano i toni di
uno
scontro di civiltà attico-persiane le une rivolte contro le
altre in un
movimento guerresco di Anabasi e Catabasi. Il blu profondo opale e il
blu ora
quasi rosato torna a essere lo smalto di una delle sette meraviglie: la
statua
crisoelefantina del Giove di Olimpia e del suo trono corrusco e
fumigante di
offerte; giù giù fino all'azzurro profondo di quelle
intensità
classico-romantiche di un mare profondo che rispecchi il cielo, tra il
glauco e
il ceruleo delle isole di trapassati di Boecklin, come Odisseo.
Il verde smeraldo scuro evoca la materia di cui son fatte le
erbe che si tuffano nell'acqua e la colorano dal profondo, e il verde
cromo
scuro fa scorrere in quelle acque segrete, nate dal ventre della terra,
la
morbida attesa della Tempesta di Giorgione, per allargarsi a vegetare
pianure e
pianure. I verdi brillanti e trasparenti e quelli macchiati si
riverberano per
le fitte martellinature nel corpo del supporto di rame e restano per il
tessuto
epidermico di un camaleonte o di un alligatore, in una definitiva
pietrificazione e imbalsamazione come porte bronzee.
Il blu azzurro verde sembra sintetizzare in breve spazio la
storia dell'arte dello smalto con il suo tenore «dipinto»
rispetto alla miriade
di piccoli colpi di martello fitti e regolari che richiamano l'antica
matrice
del champlevé. Si sfonda verso la materia dipinta della pittura
nel destino
finale della craquelure: fine del quadro e principio dello smalto. Si
riforma
un fitto reticolo di spontanei cloisonnés nella buccia di un
pianeta blu lunare
con argento, per riflettere nel freddo lacrime e desideri di
quell'altro
pianeta verde azzurro chiamato terra, dove noi stiamo, ma dal quale
possiamo
allontanarci per attimi intensi soltanto con queste arti, verso il
territorio
aereo dei colori di smalto, pieni di fuoco.
Paul Valéry, Dell'eminente dignità
delle arti del fuoco
(1930), trad. it. Scritti sull'arte, Milano 1984, pp. 70-72.
Cfr. Alcuni colori degli smalti di De Poli, Padova 1965