SUPPORTO. Può essere
costituito da una lamina d'oro,
d'argento, rame, ferro, ma ultimamente si è sperimentato
l'acciaio
inossidabile. Non è invece utilizzabile il platino perchè
non permette
l'adesione dello smalto. I metalli devono essere il più
possibile puri,
malleabili, dotati di buona conducibilità al calore e
soprattutto di un
coefficiente di dilatazione simile a quello dello smalto.
La sua luminosità è condizione indispensabile per far
risaltare la trasparenza nello smalto traslucido.
SMALTO. È costituito
da sabbia di silice (al 50%) aggiunta a
carbonato di sodio, potassa e piombo misti a sostanze coloranti,
cioè ossidi
metallici. Si ottiene mescolando i vari componenti e fondendoli ad una
temperatura di circa 1400° centigradi. Il composto ottenuto,
chiamato «fritta»
si presenta pastoso e denso: viene steso su tavoli metallici, ove si
raffredda
e solidifica in forma di tavolette che, macinate, daranno una sabbia
fine e
sottile, quasi una polvere. Sottoposta a lavaggi diversi, prima di
essere
impiegata, per la sua trasparenza e incolorità si avvicina al
cristallo. Si
rende opaco con ossidi di stagno o di titanio, floruro di sodio o
fosfato di
calcio; mentre per la colorazione si aggiunge alla fritta ossidi di
cobalto per
i bleu; ossidi di manganese e cobalto per i violetti; ossidi di stagno
per i
bianchi, ossidi di ferro e uranio per i gialli e infine ossidi di rame
per i
rossi e i turchini.
Lo smalto viene fornito in polvere, o graniglia, a pezzi o
spezzettato. Ogni smalto ha un suo diverso comportamento al fuoco: in
genere
rivetrifica a circa 900° di cottura, ma la presenza di materie
coloranti ne
varia il grado di fusione per cui è necessario nell'applicazione
procedere con
gli smalti a grado di fusione più alto, per arrivare a quelli
con grado più
basso di cottura.
FORNO. È il vero catalizzatore dello smalto, che ne realizza in fondo il processo creativo. La cottura è una fase sempre in parte aleatoria perchè sempre imprevedibile, ma costituisce anche il momento più spettacolare e suggestivo. Realizzato in materiale refrattario, inizialmente a carbone oggi elettrico, il forno per le sue dimensioni condiziona anche i formati degli smalti. Con i suoi iniziali limiti assai ridotti, si spiegano i piccoli formati della prima produzione a smalto di De Poli.
Le tecniche applicative dello smalto sono essenzialmente tre, e concernono soprattutto il trattamento del supporto metallico: si tratta infatti di renderlo partecipe dell'aspetto estetico finale sfruttando la sua colorazione naturale. Le tecniche sono:
CHAMPLEVÉ. Su di
una lastra di rame di almeno due millimetri
di spessore, con una puntasecca o una matita dura si riporta il
di-segno
voluto. Con un bulino si toglie il rame, laddove deve andare lo smalto,
fino
alla profondità di circa un millimetro. I bordi di questo
alveolo dovranno
essere ben rifiniti per ottenere un effetto finale di pulizia e
precisione.
Gli alveoli possono essere anche ottenuti con un particolare
metodo incisorio, quello dell'acquaforte. Si ricoprono sul disegno le
parti che
nella lastra non dovranno essere ricoperte da smalto, con una apposita
vernice
al bitume. Immersa la lastra nell'acido, questo corroderà il
rame solamente
nelle parti scoperte: si creeranno così alveoli che comunque
saranno rifiniti
con un bulino. Negli alveoli così ottenuti viene inserito lo
smalto
umidificato, mediante una spatola. Si procede quindi ad una prima
cottura,
seguita da altre fino ad aver raggiunto l'effetto desiderato.
Naturalmente lo
smalto in alcune parti può aver debordato dall'alveolo; in
questo caso viene
asportato con frizioni di pietre dure ed acqua o con abrasivi sempre
più fini.
Così facendo però viene rimesso in luce il metallo
sottostante, e in più lo
smalto è ridivenuto opaco. Si procede perciò all'ultima
fase, quella della
cottura dopo un rinforzo dei colori: fase che porta all'aspetto
definitivo
dello smalto champlevé: così chiamato proprio
perchè ottenuto dall'asportazione
di una parte del rame della lastra (letteralmente = campo levato).
CLOISONNÉ. Mentre
la tecnica a champlevé è sottrattiva,
toglie cioè materia, la tecnica a cloisonné è
additiva, aggiunge cioè materia
alla lastra. Infatti, anziché scavare il rame o il metallo con
alveoli, questi
vengono realizzati mediante listelli metallici (cloisons) o piccoli
fili
(filigrane) che vanno saldati alla lastra stessa. In queste zone
rilevate,
rispetto al piano metallico, viene colato lo smalto, ottenendo una
specie di
vetrata, o mosaico, le cui tessere sono circoscritte esattamente dai
listelli
metallici.
Il procedimento iniziale è simile a quello dello
champlevé:
su di una lastra si riporta il disegno con puntasecca o matita dura. Su
questa
traccia viene sagomata una sottile lamina di rame, argento, od oro con
una
pinza, saldandola poi con argento. La laminetta può anche essere
applicata
direttamente su di uno strato preparatorio di smalto incolore,
impiegato anche
come adesivo, cotto poi leggermente. Negli alveoli così ottenuti
si inserisce
lo smalto come nello champlevé, facendo attenzione a non
sovrapporre smalti
differenti. Si passa quindi alla cottura e alla rifinitura.
La tecnica su cloisonné si distingue dallo champlevé
perchè
più lineare e quindi d'effetto più rigido, dovendo
restare precisamente nei
limiti dei fili metallici; laddove lo champlevé ha una sua
relativa maggiore
libertà. In compenso, lo spessore maggiore della cavità
del cloisonné permette
l'uso di foglie d'oro e d'argento, ottenendo perciò smalti
traslucidi laddove
lo champlevé utilizza per lo più lo smalto opaco.
SMALTO TRASLUCIDO
E DIPINTO. Alla tecnica dello smalto
dipinto appartiene la «bassetaille» o smalto traslucido,
ottenuto quando si
opera su di una lastra in argento od oro, mediante incisione a
bassorilievo. Su
questo disegno si applica uno strato di smalto trasparente che permette
al
disegno di trasparire. Più strettamente pittorica è
invece l'operazione dello
smalto dipinto vero e proprio, che può anch'esso essere
trasparente od opaco.
Per lo smalto traslucido si usa in genere una placca di rame
di circa 3-
I colori impiegati nello smalto traslucido sono anch'essi
ossidi metallici, reagenti in differenti modi al fuoco ed ognuno con un
proprio
grado di cottura. Di questo fattore è necessario tener conto
nella stesura,
partendo quindi dai colori con grado di fusione più elevato che,
essendo poi
traslucidi, interagiranno tra loro per riflessione. Per effetti
più
naturalistici viene utilizzato, soprattutto in Francia, il così
detto «blanc de
Limoges», uno smalto finemente tritato e mescolato ad olii
vegetali, steso a
spatola sulle parti cui si vuoi dare rilievo luministico. Si cuoce ad
un grado
inferiore (c. 500°), altrimenti si può disperdere, e viene
dato a successivi
strati fino a che non si ottiene l'effetto desiderato. Procedimento
simile è
la «grisaille», che viene realizzata su fondente nero in
modo da ottenere tutte
le sfumature del grigio a seconda delle quantità di bianco
sovrapposto.
Gli smalti opachi, essendo tali, sono coprenti e quindi è
necessaria una sola smaltatura: il disegno sarà realizzato
quindi al tratto non
potendo sfruttare la trasparenza. Anche il grado di cottura è
inferiore a
quello dello smalto traslucido.
I primi esempi di smalto li troviamo a Cipro verso
il XIV
secolo a.C. e quindi nell'epoca Micenea in Grecia ed in Egitto: si
tratta di
lamine d'oro cloisonné, o filigranato con pietre colorate allo
scopo di dare
nota di colore al metallo prezioso.
Nell'epoca classica in Grecia si impiega lo smalto fuso su
oro, procedimento che i Romani applicano poi anche al bronzo. E
però merito
della cultura bizantina, tra il VII e il XII secolo, la diffusione
dello smalto
che applica con esiti altissimi all'oreficeria sacra e profana. Sono
purtroppo
pochi gli esempi che ci restano, risalenti alla crisi iconoclastica
dell'VIII-IX secolo, e per di più provenienti da aree
geografiche non bizantine
(Gallia, Italia, Siria). Dal X se-colo però si affermano nel
bacino
mediterraneo ed in Europa le botteghe costantinopolitane, seguite in
base al
loro modello, da botteghe carolinge: in Lombardia ad esempio viene
realizzato
il famoso «Paliotto» di S. Ambrogio, a Milano, a Roma
è la croce di Papa Pasquale,
e così in Francia.
Nel periodo ottoniano anche
Nel corso del XII secolo la tecnica dello smalto si perfeziona e affina, con l'introduzione dello champlevé, che segna il prevalere dello smalto sul metallo, fino al punto di farlo scomparire dalla figurazione. Proprio con questa tecnica si affermano in Europa le botteghe tedesche del Reno e della Mosa: soprattutto quest'ultima si distingue per il tentativo di modernizzare gli stilemi bizantini introducendo nello smalto motivi della contemporanea produzione miniaturistica. Da segnalare nella scuola mosana Godefroid Huy, attivo nella seconda metà del XII secolo (Trittico della Passione, Victoria and Albert Museum Londra), e Nicolas de Verdun, che allo smalto fa però prevalere la scultura (Reliquiario di Colonia). Da queste botteghe uscivano oggetti liturgici (calici, pissidi, reliquiari, turiboli ecc.) e prodotti d'uso domestico o personale (cofanetti, fibbie, bacili, brocche ecc.). Potevano anche essere realizzate singole placchette, poi adattate a croci, coperte di messali ecc.: famosa la placca tombale di Goffredo Plantageneto (1158-1168), del Museo di Le Mans, primissimo lavoro a desti-nazione privata della scuola francese di Limoges, allorché proprio grazie all'appoggio della famiglia dei Plantageneti, si stava affermando nella tecnica dello champlevé. Questa scuola, rispetto alla tedesca, si distingue per un più raffinato gioco coloristico tra oro e smalto bleu; come nel ciborio del Museo del Louvre di Parigi, firmato da «Magister G.Alpais», ove Io smalto fa da sfondo a figure lasciate in oro i cui volti però sono in fusione e cesello, applicati successivamente.
Dalla scuola limosina deriva in parte quella
spagnola; ma
anche l'inglese e in Italia quella fiorentina: per tutto il XIII secolo
infatti
opere limosine sono importate nei vari centri artistici italiani. Con
l'affermarsi del gusto gotico, sempre in Francia nel XIV se-colo
un'altra città
diviene centro di produzione di smalti, Parigi. La tecnica qui
impiegata era
quella dello smalto traslucido, chiamato «émail
damasquiné» nei documenti
dell'epoca e quindi più correntemente «plique à
jour», in quanto unito alla
tecnica in cloisonné. Fu famoso ai suoi giorni Guillaume Julien,
autore del
reliquiario di San Luigi per il re Filippo il Bello, conservato nella
Saint
Chapelle. Non mancavano comunque oggetti d'uso, per l'abbigliamento,
per
l'ornamento. Comincia anche la smaltatura d'oggetti a tutto tondo
(«rondebosse»), come statuette: ne troviamo a Parigi, in
Boemia, in Borgogna,
in Renania e nei Paesi Bassi. Si producono anche reliquiari a forma
d'altaroli
portatili, ricordati da inventari dei beni di Carlo V, del Duca
d'Angiò, del
Duca du Berry e di Jeanne d'Evreux. Il reliquiario dello Spirito Santo
al
Louvre di Parigi presenta l'immagine di Carlo VI ed otto statuette in
smalto che
attorniano
Un'altra tecnica impiegata dagli orafi parigini era quella chiamata «basse-taille»: il disegno si ricavava dalla placchetta di metallo incidendola col bulino, e quindi coprendola con smalto traslucido in modo che il disegno trasparisse al di sotto. Questa tecnica arrivò a Parigi attraverso Avignone, ove per il soggiorno del Papa erano giunti orafi senesi, i più importanti forse nell'Italia del XII se-colo. Da Siena infatti si esportano smalti in Umbria, in Italia Meridionale, in Spagna, in Inghilterra e in Francia. Famoso fu Ugolino di Vieri, autore con la bottega del reliquiario della Cattedrale di Orvieto, del 1338. La scuola senese abbraccia tutto il periodo tardo gotico e s'inoltra nel Rinascimento con una produzione per il culto, per l'arredamento e per l'abbigliamento.
Verso la metà del Quattrocento si afferma lo smalto dipinto. Per la sua caratteristica appunto pittorica, Io smalto dipinto si avvale di modelli ed iconografia della pittura, attraverso anche stampe e disegni. In genere fino al Cinquecento il disegno viene tracciato a pennello sulla base «fondante» di smalto bianco, con nero di bistro. Su questa falsariga si applicava quindi a spatola lo smalto colorato: l'effetto dopo cottura era quasi di un disegno a penna. In seguito il disegno sarà dato su base incolore, rialzandolo con oro.
A Limoges la tecnica dello smalto dipinto
sarà presto
adottata: una «Crocifissione» opera di uno smaltatore della
famiglia dei
Penicaud, Nardon, sarà terminata il 1 agosto del 1503 (oggi
Cluny, Museo).
Prima di questa produzione è segnalata quella delle botteghe di
«Monvaerni»,
come viene segnato in un trittico ora a Cincinnati (USA); e di una
bottega che
realizzò il trittico del Museo di Orléans. Degli inizi
del secolo (post 1502) è
anche il così detto «Maestro dell'Eneide», dalla
serie di opere in smalto
ispirate alle incisioni di S. Brandt pubblicate appunto nel
In Italia nel corso del XVI secolo sarà soprattutto la manifattura fiorentina, legata ai Medici, a produrre smalti: lo testimoniano gli oggetti conservati al Museo degli argenti di Firenze, che prece-dono l'affermarsi del più famoso orafo smaltatore italiano, Ben-venuto Cellini. Fino a qualche tempo fa gli era attribuita la famosa «Saliera» per Francesco I, al Museo di Vienna. Importante anche la scuola veneziana, laddove anche in Lombardia erano ottimi artefici, ricordati dallo stesso Cellini.
Nel XVII secolo lo smalto è una tecnica
diffusissima in
tutta Europa, sia per oggetti di culto che personali o per casa. Si
preferisce
la pittura su smalto, alla pittura in smalto, come d'altronde succede
perla
ceramica. Nel XVIII secolo quindi lo smalto diviene un importante
elemento per
la decorazione di piccoli oggetti, orologi, tabacchiere, bracciali
ecc.,
continuando per parte dell'Otto-cento ma sempre più diminuendo
d'importanza,
fino a scomparire quasi del tutto nel nostro secolo. Merito di De Poli
sarà
quello di riscoprire e rivalutare la tecnica a smalto riportandola
all'importanza, come fatto artigianale e artistico, che aveva un tempo.
in L'Arte dello Smalto: Paolo De Poli, 1984