L'arte applicata a Venezia ha una posizione di privilegio perchè l'artigiano sa che una città così singolare è nata e si mantiene in vita dall'opera delle sue mani in tutte le varie espressioni. Passano le epoche e gli stili, ma il grande atteso è sempre l'artigiano, che ha il potere di rinnovare un patrimonio secolare. La storia del vetro e del mosaico a Venezia, è legata alle vicende dei singoli artigiani. A periodi di splendore, forse unico nella storia dell'arte, succedono periodi di crisi in attesa appunto che venga la mano di un altro artista che senta la vocazione per una materia, la elegga come una sua unica espressione vitale delle capacità creative della fantasia.
Dopo le stagioni meravigliose del mosaico delle
volte dorate
di San Marco durante il Trecento, avviene nel Quattrocento una crisi di
mosaicisti, per cui lo stesso governo della Repubblica di Venezia
chiede a
quello di Firenze la collaborazione di mosaicisti fiorentini: un
prestito
geloso e preziosissimo. Nel 1425 è documentata, fra gli altri,
la presenza di
Paolo Uccello tra i mosaici di San Marco a Venezia.
Lo stesso è avvenuto nel vetro artistico di Murano, in
un'isola toccata dalla sorte, dove sembra che l'arte del vetro sia
sorta
spontaneamente dalle acque. Il grande atteso è sempre
l'artigiano-artista.
Così è stato anche per l'arte dello smalto.
Dal momento di crisi di fine Ottocento delle arti
figurative
e delle arti applicate doveva rifiorire nel nostro secolo una nuova
scoperta di
valori che meritatamente possano essere chiamate vocazioni. Fu
così per Gino
Rossi, Arturo Martini, Vittorio Zecchin nella prima generazione e poi
nella
seconda per Carlo Scarpa, Paolo Venini e Paolo De Poli.
Non si potrebbe comprendere
Gino Rossi come pittore nuovo appare subito con colori che
hanno il sapore e la predilezione dei mosaici e degli smalti sui toni
verdi e
sui blu: essi sembrano essere tratti con virtù miracolosa dai
mosaici e dalla
Pala d'Oro di San Marco. Dalla «Fanciulla del fiore» del
1908 agli ultimi
dipinti del 1924 di Gino Rossi il colore ha un lucido splendore, fermo
ed
incantato, che testimonia il fascino di queste due materie così
profondamente
legate a Venezia. Arturo Martini possiede come scultore una insaziabile
avidità
di tentativi negli indirizzi più diversi: una irrequietezza che
proviene dal
genio. Dalla scultura passa alla grafica ed alla ceramica apportando in
questi
diversi campi stimoli vitali. Vittorio Zecchin dalla sua straordinaria
pittura
passa al vetro di Murano, e crea tra le più belle opere
dell'epoca moderna.
Prima dipingeva fatate principesse avvolte con ghirlande di fiori in un
Oriente
immaginario, poi tramuta questa suprema eleganza nel vetro.
Lo stesso avverrà per Paolo De Poli. Prima di tutto, per
alcuni anni, pittore e come tale impegnato anche nelle grandi mostre e
poi
presente per dodici Biennali di Venezia e dieci Triennali di Milano
come
artigiano di gran classe nell'arte dello smalto. De Poli come pittore
era stato
accolto alla Biennale nel
Tanto Vittorio Zecchin quanto Paolo De Poli furono spinti
per vocazione dalla pittura alla materia prediletta: il vetro per l'uno
lo
smalto per l'altro. Avevano inteso che la pittura per loro non bastava
più: era
necessaria una materia del tutto particolare che nella sua
trasformazione
realizzasse un sogno lungamente perseguito. Nel 1932 viene istituito
alla
Biennale il «Padiglione per le arti decorative». Si
può dire che questo
padiglione costituisce il punto d'incontro più importante a
Venezia di vetri e
di smalti artistici accanto ad altre opere d'arte applicata. La stessa
predilezione prima per la pittura e poi per l'arte applicata di Paolo
De Poli è
anche testimoniata nella partecipazione nelle mostre giovanili della
Fondazione
Bevilacqua
Dal clima delle mostre veneziane e da quelle della Triveneta
di Padova, che avevano luogo puntualmente sotto la grande volta del
palazzo
della Ragione, l'artista si prepara negli impegni di grande risalto
delle
Triennali di Milano e nelle numerose mostre personali tenute in tutto
il mondo.
I due punti fermi nella carriera artistica di De Poli restano le
Biennali di
Venezia e le Triennali di Milano.
Per quanto riguarda Venezia, non potremmo ricostruire
l'apporto delle arti applicate nell'epoca moderna senza alcuni
contributi
straordinari: per primo quello di un architetto come Scarpa anche
nell'opera
specifica del vetro e soprattutto nella evoluzione del gusto in ogni
suo
suggerimento nel campo artigianale; poi quella di un raffinato
conoscitore del
vetro, come Paolo Venini; ed infine di un artista dello smalto come
Paolo De
Poli.
Essi non sono lontani uno dall'altro: spesso si
presentano
insieme alle mostre pur con materie diverse, vetrina con vetrina, opere
in
vetro ed opere in smalto, in un piano estetico frutto di intelligente
lavoro da
pionieri, ciascuno consapevole degli apporti nuovi nei singoli campi di
lavoro.
Vediamo Carlo Scarpa con i suoi piccoli disegni che a mano a mano
lievitano ed
ingigantiscono l'idea; Paolo Venini con il suo gusto del vetro; Paolo
De Poli
da conoscitore straordinario del colore lucido e dello smalto fino ai
limiti
della magia.
Alle Triennali di Milano si era creata negli stessi anni una
tensione di impegni simili a quella delle Biennali di Venezia mediante
stimoli
diversi tra artisti, artigiani ed architetti per merito soprattutto di
personalità
di primissimo piano, Giò Ponti, che ebbe con Paolo De Poli una
collaborazione
assidua ed una profonda amicizia, animata da una comune fede per l'arte.
Le mostre Trivenete di Padova hanno un compito regionale di prim'ordine
e vanno ricordate per dare un senso corale a tutta l'attività
artistica della
città che gode di una nobilissima tradizione. Proprio
perchè a Padova vi sono
dei raccordi tra arte antica e moderna che costituiscono dei punti
fermi,
specie per ispirare un'arte così preziosa ed aristocratica come
quella dello
smalto. Non sapremmo pensare l'arte di De Poli senza Venezia e senza
Padova, e
a Padova appunto senza i cieli della cappella degli Scrovegni, quelli
di
Mantegna degli Eremitani ed infine quelli del Palazzo della Ragione.
Perchè lo
smalto ha una continua necessità di misurarsi con la pittura
antica, anche se
Vengono subito in mente i cartoni ed i pennelli in smalto
per i due fondatori dell'Università di Padova, il Podestà
Giovanni Rusca da
Como ed il Vescovo Giordano, compiuti nel
In questo clima possiamo segnare alcune ricerche nuove dello
smalto per la collaborazione di artisti che offrono uno spunto per
pannelli,
polittici, nature morte, sculture. Dalla frequentazione di questi
artisti nasce
una continua lotta di superamento della materia nel tentare nuove
forme. Esse
si iniziano con il purismo di Le Corbusier, ma non insensibile ad una
eleganza
alla Wienerwerkstatte e ad un neoclassicismo italiano del Novecento. Le
forme
degli smalti, spesso indirizzate dalla mano di Giò Ponti,
conservano intatte le
cadenze di alcune contemporanee ricerche di architettura. Altre
guardano in
controluce artisti come Mascherini, Saetti e Severini; alcune ricordano
le
linee pure di Arp, ma in De Poli c'è sempre l'esperienza del
pittore che agisce
nel sottofondo non senza una nota geniale e scanzonata, pregna degli
umori
della ceramica e della scultura di Arturo Martini. E tra questi artisti
che
sentiamo oggi unito un artigiano veneto come Paolo De Poli, la cui
strada passa
per la pittura, ma ha bisogno soprattutto dell'incantesimo dello smalto.
Un semplice oggetto di rame, se smaltato, acquista uno splendore
imprevisto dopo la fusione della materia vitrea, la sua trasformazione
tanto
più incantevole in quanto conserva intatta la natura stessa del
metallo, come
il fondo lucido e dorato del rame. All'inizio si è sorpresi
dalla meraviglia
tra quello che sa compiere l'opera dell'uomo e quello che invece rivela
quasi
misteriosamente la natura. Una ciotola dalle forme lineari diventa
qualcosa
d'altro, un frammento prezioso di una valva marina o di un banco di
corallo: la
fantasia deve essere sempre tesa nello scoprire questi nuovi valori
estetici
che danno vita alle forme, realizzate con la pazienza, l'umiltà
e l'insistenza
di chi ama fino al fanatismo il proprio lavoro.
De Poli ha le doti di un antico maestro: una pazienza forte
come una fede. Ha iniziato la sua attività con smalti su
targhette metalliche,
rese preziose mediante l'accostamento di alcuni toni pittorici; poi
è passato
alle ciotole più semplici ai vasi più impegnativi, ai
piatti, alle vaschette,
scatole, piccoli quadri, grandi decorazioni murali, mobili con
superfici
istoriate, caminetti, pezzi unici per collezionisti, animali e grandi
opere a
tutto tondo.
L'arte dello smalto, specie se a forte rilievo, ha permesso
talvolta di raggiungere nuovi effetti mai prima tentati, inserendo
spessori
diversi per ottenere alcune tonalità più splendide e
nitide.
Lo smalto di De Poli tende all'unità di concezione nella
varietà delle forme: così l'artista ha cercato di
modulare da alcune forme
semplici gruppi di oggetti ideati secondo lo stesso principio
informatore.
Dalla linea di un vaso è riuscito a ritmare quella di un piatto,
poi quella di
una ciotola, di una coppa o di una bottiglia. Altre creazioni nella
vitrea
preziosità della materia arrivano perfino al capriccio e,
fantasia per
fantasia, le forme si accostano ai suggerimenti più impensati
della natura:
dalle ali iridescenti delle libellule, alle superfici traslucide della
madreperla, alla tattile fragilità delle foglie secche.
Il fuoco compie la sua parte dell'opera quasi magica della
fusione, quando la materia passa dallo stato fluido a quello
cristallino
assumendo contemporaneamente la diafana lucentezza del corallo e le
fonde
penombre delle pietre dure. Non possiamo negare che l'artista non resti
allucinato dalla bellezza della materia e della sua metamorfosi.
Importante è
dominarla al momento giusto prevedendo ogni effetto con calcolata
modernità di
stile, regolando le figure delle superfici, la modulazione delle linee,
il
taglio della composizione, la plasticità delle forme, per
ottenere alcune opere
d'arte che conservano un fascino inconfondibile.
in L'Arte dello Smalto: Paolo De Poli, 1984