Tutta la ormai lunga e sempre infaticabile
carriera di Paolo
De Poli si potrebbe leggere come una ininterrotta e impavida battaglia,
non
propriamente contro, ma certo a latere e a fronte del, prima nascente e
poi
trionfante, disegno industriale.
A questa stregua la inevitabile linea del fuoco, per De
Poli, doveva propio passare per Milano, capitale indiscussa, prima
italiana e
poi internazionale, di codesto disegno industriale, o Industrial
Design, che
sembrava insidiare e stringere dappresso un artigianato asfittico,
nonostante
le cure del benemerito ENAPI (Ente Nazionale per l'artigianato e le
piccole
industrie), e ormai dichiarato morituro dai barbassori della
cosiddetta, e così
creduta, avanguardia.
Infatti a Milano De Poli ha concluso le sue più memorabili
affermazioni.
All'inizio le occasioni, le frequentazioni, le
collaborazioni coinvolgono artisti nei quali, per formazione e per
scelte, è
riconoscibile una talquale affinità con De Poli, come Roberto
Aloi o Guglielmo
Ulrich: l'intuito pittorico del primo e l'eleganza del secondo
naturalmente li
accostavano alla pratica di un artigianato, quello appunto di De Poli,
non
immemore di passate grandezze.
In particolare ricordiamo come con Aloi si sia verificato
una sorta di reciproco insegnamento: quello che De Poli certo ricevette
come
suggestioni e indirizzi dal magistero pittorico di Aloi puntualmente
restituì
indicandogli la pratica dello smalto, nella quale il pittore si
misurò poi frequentemente
e non inutilmente.
Con Melchiorre Bega, architetto schiettamente e gioiosamente
bolognese ma attivo in Milano, De Poli ebbe consuetudine di lavoro,
specie in
occasione degli impegnativi arredamenti navali, che negli anni
antecedenti la
guerra richiamarono il meglio degli arredatori italiani.
Tuttavia l'incontro milanese più congeniale
per De Poli, e
più carico di conseguenze, è stato quello con Giò
Ponti, e non tanto per la
frequentazione assidua, e nemmeno per la circostanza - certo notevole -
che
alcuni dei grandi pannelli a smalto De Poli ebbe a eseguirli su cartoni
di
Ponti, quanto per l'esemplarità sintomatica di codesto incontro.
Ponti, come notissimo, è il più famoso e anche più
antico
designer italiano, designer in senso moderno, e cioè progettista
per
l'industria, il che non toglie che sia stato anche, nei suoi anni
più felici e
combattivi, il più solerte e fortunato promotore del
rinnovamento di
quell'artigianato di cui De Poli è uno dei più illustri
cultori. La
circostanza, forse non del tutto casuale, illumina quella so-stanziale
affinità
delle due discipline che, per parte nostra, abbiamo tante volte
indicata e
rivendicata, affinità che riguarda il momento creativo, che
è identico, non già
le conseguenze produttive, necessariamente e nettamente divergenti.
Che De Poli abbia talvolta operato all'interno di un
processo industriale, come nel caso degli arredamenti navali, non prova
l'affinità di cui si accennava dianzi e che già è
stata largamente provata, ma
vi allude suggestivamente.
Tutta l'opera di De Poli costituisce una testimonianza
irrefragabile della necessità sempre attuale di un artigianato
autentico, nel
quale invenzione ed esecuzione siano coincidenti, vale a dire di un
artigianato
che sia, come debito, sinonimo di arte.
Attività pazientemente e incisivamente documentata anno per
anno, proprio a Milano, con la partecipazione a tutte le Triennali,
dalla sesta
del 1936 alla quindicesima del '73 e con la esauriente mostra personale
organizzata dal CISAR (Centro italiano sviluppo applicazioni rame)
presso il
milanese Museo della Scienza e della Tecnica «Leonardo da
Vinci» nel 1972.
Accanto alle affermazioni dirette del suo lavoro,
De Poli ha
svolto, non sempre facilmente, una appassionata azione in difesa
dell'artigianato, specialmente nella sua qualità di membro del
Consiglio di
amministrazione della Triennale di Milano, a cominciare dalla
dodicesima
edizione nel 1960 fino alla quindicesima del '
Tutta l'opera di Paolo De Poli è dunque a riceversi come una
lunga guerra in difesa dell'artigianato, a proposito del quale ebbimo
più volte
occasione di dichiararci, ma non abbiamo difficoltà a ripeterci.
Ci avvenne di chiarire, non certo ultimi,l'interesse e la
piena legittimità del disegno industriale, ne abbiamo anche
indicato, e qui
sopra lo si è ribadito, la sostanziale identità iniziale
con l'artigianato,
nella sfera del quale, necessariamente e sempre, si colloca il
prototipo, d'altro
canto rifiutiamo l'assimilazione, evidentemente improponibile,
dell'esito
artigiano a quello industriale, ma, a maggior ragione respingiamo la
retrocessione del primo in confronto al secondo per la sua natura,
ripetitivo:
aggiungiamo, a chiusura, che questa nostra fiducia nell'opera manuale,
nel
manufatto, nel «pezzo unico» si limita rigorosamente al
caso, ormai raro, che
di artigiano autentico si tratti, e cioè di esercizio d'arte,
come quello di
Paolo De Poli esplicitamente si dichiara.
in L'Arte dello Smalto: Paolo De Poli, 1984