Anche l'architettura contemporanea non ha abdicato
al
concetto di decorazione. Mi riferisco a quell'architettura che,
sviluppando gli
assunti del movimento moderno, viene progettata oggi pensando ai valori
della
razionalità e della fantasia legati da un inscindibile patto di
buon senso.
E superata la definizione del Palazzi che nel suo dizionario
definisce la decorazione «l'insieme degli ornati con cui si
abbellisce un
edificio»; l'architettura sia in passato che nel presente ha
fatto ricorso a
colori, forme, materiali, tecniche costruttive, sogni e figurazioni,
per
esprimere con un proprio linguaggio le acquisizioni e le aspirazioni a
volte di
élite altre volte di massa.
Gaudì e la cultura catalana, Horta e Van De Velde e la
cultura dell'Art Nouveau, Los e la cultura della Secessione, rispondono
al
meglio ai mutamenti delle coscienze, alla disponibilità e
possibilità
dell'architettura borghese illuminata che ha gravitato tra la casa
Verdurin a
Parigi ed il soggiorno di Gustav Aschenbach nella Prinzregentenstrasse
a Monaco
di Baviera. (1)
II successo di Innen Decoration fa sì che nel gennaio 1902
esca a Parigi il primo numero dell'edizione francese della rivista di
Darmstand
ed Alex Kock annunci la futura edizione inglese. Nel primo numero edito
a
Parigi da Charles Eitel, Henry Van De Velde parla del grande sforzo per
ritrovare la sana tradizione della «creazione». «Sono
convinto» scrive «che non
avremo alcuna possibilità che questa creazione sia fertile se
non inietteremo
il nostro stesso sangue piuttosto che una mistura impura composta di
acqua
servita a pulire le opere dell'antichità.... Questa creazione
sarà fertile se
la feconderemo con germogli vigorosi che sono i nostri gusti, le nostre
usanze,
i nostri pensieri ed i nostri gesti.»
Penso sia da inquadrare il lavoro di Paolo De Poli in questa
tradizione, dove l'elemento decorativo però si è
già liberato dall'architettura
con l'aspirazione a diventare opera d'arte carica di simboli e di
messaggi. Se
osserviamo le decorazioni inserite da H.C.R. Mackintosh nei suoi lavori
di
Glasgow ci si convince senza difficoltà della interdipendenza
degli inserti
figurativi e cromatici di Margaret e Frances Mac Donald con
l'architettura. Gli
effetti cromatici dei vetri, degli smalti, delle tele entrano a far
parte di
ordini e ripartizioni architettonici necessari alla composizione dello
spazio.
Le opere di De Poli, invece, mi pare siano autonome dall'architettura,
anche se
per questa, in molti casi, sono state create.
Negli anni in cui Paolo De Poli realizza i suoi smalti,
destinati a far parte di uno spazio architettonico, tra il '33 e la
prima
guerra mondiale, vige il senso della rappresentazione di emblemi. A
Padova,
nello studio del Rettore dell'Università, realizza le due grandi
figure di
Giovanni Rusca da Como e del Vescovo Giordano, coeve ai grandi
affreschi di
Campigli sopra la grande statua di Arturo Martini nell'atrio della
Facoltà di
Lettere dell'Università di Padova. Ponti disegna i bozzetti e De
Poli scompone
le figure in forme irregolari, campi di colore che interpretano da
pittore
un'idea d'architetto.
Mi pare che Agnoldomenico Pica, conoscitore del lavoro di De
Poli, insista a proposito sul valore pittorico di queste esecuzioni che
in
effetti hanno il peso di una pittura o di un affresco pieno di rimandi
e
citazioni provenienti dalla natura versatile ed inquieta di Ponti.
Si tratta, in molte opere, di una vera e propria
collaborazione che occupa tutta una vita di stima ed amicizia
reciproca: lavori
che interpretano cartoni di Saetti, De Pisis, artisti veneti che
rientrano
nella cerchia degli amici. A volte si tratta di tentativi su temi di
arredo
domestico, il piccolo bar con le ante smaltate è frutto di
disegni e
conversazioni ancora con Ponti.
Anche dopo la guerra, se pure vi è un cambiamento di
ispirazione, Paolo De Poli continua con «l'Arlecchino», la
serie dei grandi
pannelli decorativi che troveranno applicazioni nella nave Giulio
Cesare, il
pannello araldico, le «Stagioni», «Aprile».
I cinema, i teatri, bar, luoghi pubblici, ricorrono
all'opera degli artisti per opere, spesso, impegnative e soprattutto di
richiamo. Lucio Fontana modella pannelli di ceramica bianca ed azzurra,
oppure
regola l'esplosione dei fori nel soffitto del Piccolo Teatro di Milano
quasi
per gioco e compiacente ironia al servizio dell'esigenza tecnica di
risolvere
il problema della fono assorbenza della sala di spettacolo.
Nel lungo periodo delle Biennali veneziane e delle Triennali
milanesi, De Poli è sempre presente nel confronto con
l'architettura e l'arte,
presente quando ancora Lucio Fontana nel '51 realizza con un tubo
continuo di
neon un immenso cirro sullo scalone d'onore.
Sostanzialmente vi è da un lato un vero e proprio
rinnovamento nelle immagini, dall'altro un adeguamento al gusto diffuso
del
descrittivo che accompagna anche artisti come Enrico Ciuti, autore
delle vedute
di città italiane che decorano i pannelli dei portabagagli del
Settebello
progettato da Giulio Minoletti.
De Poli segue, nel suo lavoro, anche un'altra strada:
l'ispirazione si ritrova espressa ancor meglio in quelle forme di
animali
piccoli e grandi, nel gallo e nelle anitre, pavoni, ogni specie di
animali
dell'arca accoppiati in un turbine di colori smaglianti.
Il grande gallo del '67 modellato da Marcello Mascherini può
essere protagonista di uno spazio architettonico.
Il tutto tondo, come le ciotole, prende risalto sia in
interno che in esterno; infatti le stesse ciotole sono pensate per
essere
collocate anche in spazi aperti.
Le Corbusier a Chandigarh aveva dato lezione di disinvoltura
e coraggio con le più grandi decorazioni di cui ho memoria.
L'ingresso del
Parlamento ha come riferimento indiscutibile una immensa composizione
di smalto
suddiviso in cinquantacinque pannelli, ciascuno con un suo disegno e
colore.
Le Corbusier popola spesso i suoi spazi con colori
abbaglianti, chiazze, colpi di luce, riferimenti obbligatori
dell'avventura
spaziale architettonica ottenuti con i materiali più diversi,
stoffe, rilievi,
come nella sala delle assemblee, dove la composizione si adegua ad una
funzione
di tecnica acustica, bassorilievi nel cemento, pitture del cemento e
dell'intonaco.
L'architettura contemporanea ha i suoi maestri e forse a De
Poli è mancata la grande occasione di lavorare per le grandi
architetture.
Per ogni artista c'è, e ci deve essere, almeno un'opera
incompiuta, quella sognata e desiderata per tutta la vita,
irraggiungibile nel
mondo reale ed appena sfiorabile nell'immaginario.
Forse avrebbe potuto essere il grande volo di gabbiani in un
cielo immenso ramato; tanti gabbiani con il loro volo di corpo pesante
abbandonato sulle lunghe ali vibrate a dirigere la traiettoria nello
spazio.
Questo bozzetto, che ho visto, rappresenta un'idea, un
programma ed una intenzione; è un'attesa: il futuro.
Gli animali di smalto che abitano il laboratorio-studio
fanno parte invece dello spazio domestico, mansueti riferimenti di un
lessico
formale e cromatico entrato a fare parte di molte case, dove anche le
più
piccole cose sono un segno di civiltà.
(1) Ci si riferisce alla
«Recherche» di Marcel Proust e alla
«Morte a Venezia» di Thomas Mann.
in L'Arte dello Smalto: Paolo De Poli, 1984